
Anni fa sono rientrata in Italia dalla Nuova Zelanda con un cuore infranto e un plaid bianco, nero e fucsia made in New Zealand di pura lana vergine. Quel “marchio della lana” riportato sull’etichetta è l’invenzione di un grafico italiano, Franco Grignani, che nel 1963 vinse un concorso internazionale indetto dall’IWS-International Wool Secretariat. Chiudete gli occhi e ricostruite quella immagine, la vedete? Si tratta di un gomitolo tripartito in bianco e nero senza un chiaro inizio e una fine, quasi fosse un groviglio di filo infinito.
In preparazione alla scrittura di questo testo, ho sfogliato cataloghi delle mostre di Grignani, seguito link italiani e internazionali che ne discutono la carriera artistica e grafica e guardato gallerie di immagini dei suoi lavori nei vari campi in cui ha operato. In questo modo ha preso forma una grammatica, un vocabolario fatto dall’impiego del bianco e nero, da una struttura ortogonale che diventa campo per una sperimentazione di fenomeni ottico-percettivi derivati da trattamenti che prevedono torsione, deformazione, vibrazione, flou e altro.
Il metodo compositivo di Grignani non è mai statico, disdegna la figurazione e una prospettiva centrale, e si muove dentro, fuori, agli angoli.
Il chiaroscuro protagonista delle sue pitture e del lavoro grafico è indebitato alla fotografia mentre la psicologia della Gestalt [della forma] gli offre il concetto di insight [vedere dentro] insieme a un procedere per prove ed errori, si apprende dunque con la percezione e tramite continue esperienze. Le sue creazioni mostrano intuizioni creative che svilupperanno appieno il loro potenziale in ambito digitale.
Mi colpisce una foto di Grignani negli anni ’80, nel suo studio a Milano, indossa un camice bianco–da oculista mi verrebbe da dire–aperto su una camicia e una cravatta, al muro sono appese delle sue creazioni, sulla scrivania invece regna un caos di materiali, diapositive, vetri, scatole, fogli, tutti accatastati come in un laboratorio, un centro sperimentale d’indagine e di prove ripetute. “Cercavo anche di formare una grammatica per bloccare valori costanti e per individuare un metodo operativo-critico” spiega Grignani in “Note per un percorso” nel catalogo della mostra Segno Scrittura Spazio a cura di Lisa Bellotti al Circolo culturale Koh-I-Noor di Milano nel 1986.
Milano è la sua città d’elezione da qui Grignani lavora, tra le altre committenze, per la casa farmaceutica Dompé: mirabili le pubblicità per prodotti come Artrosil, che prevede figure atletiche che saltano l’ostacolo, corrono, volteggiano in aria con efficienza olimpica, o Cardioritmon che prevede un manifesto nero su cui si staglia un filo bianco la cui presa si collega a un grande cuore stilizzato bianco, che ne contiene uno giallo, uno rosso e uno azzurro che si intersecano [altro che emoticons!]. E si occupa, sempre per Dompé, anche della grafica della rivista Bellezza d’Italia, abbreviata in copertina con intuito contemporaneo in Bd’I.
I lavori per Alfieri&Lacroix, “Tipolitozincografica in Milano propone la comunicazione nell’induzione grafica” – come recita un manifesto del 1965 ora nella collezione del MoMA – sono riconoscibili per il tentativo di modellare nuove proposte linguistiche di produzione grafica.
L’annuario Pubblicità d’Italia invece raccoglie quello che succede sul piano della comunicazione pubblicitaria attuando un’analisi consapevole del mondo della pubblicità e del suo evolversi nel nostro paese e Grignani ne è art director dalla fondazione negli anni Cinquanta fino al 1985.
Sempre a Milano, come ci ricorda una foto che li ritrae insieme in posa su una rotonda stradale, Giulio Confalonieri, Silvio Coppola, Franco Grignani, Bruno Munari e Pino Tovaglia avevano dato vita al gruppo Gruppo ED [Exhibition Design]. Il gruppo auspicava il superamento del concetto di autorialità del singolo, rifletteva inoltre su una metodologia progettuale di ricerca interdisciplinare e sull’importanza della articolazione dello spazio espositivo per instaurare una reale comunicazione con il pubblico.
Una mostra di Grignani si tenne nel 1967 al Centro Culturale Pirelli di Milano e ne vorrei un momento analizzare l’impianto allestitivo a partire da alcune immagini d’archivio. La mostra alterna sculture elicoidali poggiate a terra con opere bidimensionali che sono poste in teche di vetro rettangolari, frontali allo spettatore, che si innestano su delle gambe metalliche. Il perimetro delle sale è riempito ordinatamente da questi dispositivi ed il movimento delle immagini e delle sculture pare riflettersi anche nel linoleum sul pavimento, che essendo a chiazze maculate, potrebbe essere scambiato per un esperimento ottico di Grignani.
Il nome di Franco Grignani non è annoverato tra quello degli artisti che partecipano alle mostre internazionali che storicizzano i movimenti formatisi nel Dopoguerra, come la Op [Optical] Art indagata nel 1965 dalla mostra The Responsive Eye al MoMA di New York e dal documentario dello stesso titolo di Mike Wallace, facilmente reperibile su youtube, che offre una viva testimonianza immortalando le reazioni a caldo del pubblico newyorchese.
Nello stesso anno però Grignani è tra i relatori, assieme a Buckminster Fuller, Marshall McLuhan, Eugenio Carmi ed altri, della conferenza Vision 65 “New Challenges for Human Communication” alla Southern Illinois University, Carbondale.
Nel 1968 David Pelham, art director per la narrativa della casa editrice inglese Penguin, commissiona a Franco Grignani la creazione di sedici copertine per altrettanti libri della loro collana tascabile di fantascienza, tra cui si annoverano anche titoli di Ray Bradbury e di Philip K. Dick. Le copertine sono tutte su sfondo nero da cui si liberano immagini e forme monocromatiche, un colore diverso per ciascuna copertina, queste visioni astratte, allusive di movimenti, fin dalla copertina ci accolgono in altre percezioni, non certo pacificate.
La critica d’arte Lara Vinca Masini scrive nel 1966: “Così ai simboli odierni della comunicazione di massa, attraenti, colorati, cattivanti, ipnotici, Grignani oppone i simboli della sua comunicazione, ossessionanti, altamente espressivi, drammatici e violenti che mettono l’osservatore di fronte a se stesso, lo esigono sveglio e responsabile, lo costringono, incessanti, a riprendere dominio di sé, a ritrovare, in una riconquistata completezza, la dimensione esatta dello spazio umano, e alla luce della ragione, della emozione, della fantasia, la propria inesauribile – e demiurgica – potenzialità di creatore di forme.” Lo spettatore ritorna protagonista di una comunicazione che non prescinde mai dalla sua reazione, conscia o inconscia che sia.
Una serie di foto del 1967 ritrae la figlia dell’artista, Manuela, in riva al mare al tramonto, gli arti si irradiano controsole mentre regge delle composizioni di forma quadrata realizzati dal padre che la fotografa e con i suoi movimenti crea una partitura, un alfabeto di forme, che si propaga a onde, come in uno specchio, verso la nostra percezione.
Caterina Riva, 2022 testo commissionato da SPRINT

Years ago I returned to Italy from New Zealand with a broken heart and a New Zealand white, black and fuchsia tartan blanket made of pure virgin wool. That “wool trademark” shown on the label was invented by an Italian graphic designer, Franco Grignani, who in 1963 won an international competition organized by the IWS-International Wool Secretariat. Close your eyes and reconstruct that image, do you see it? It’s a yarn composed of three black and white parts without a clear beginning or end, as if it were a tangle of infinite thread.
As I was preparing to write this text, I leafed through Grignani’s exhibition catalogues, I searched for Italian and international links in which his artistic and graphic career was discussed and looked at image galleries of his work across various fields in which he operated. This is how grammar took shape, a vocabulary established through the use of black and white, an orthogonal structure which becomes a platform for experimentation with optical-perceptive phenomena derived from treatments involving torsion, deformation, vibration, flow, and more.
Grignani’s compositional method is never static, it disdains figuration and a central perspective, and moves in, out, at the corners.
The chiaroscuro main character of his paintings and graphic work is indebted to photography while the psychology of Gestalt [of form] offers him the concept of insight [to see inside] together with a process of trial and error, therefore learning goes hand in hand with perception and through continuous experiences.
I was struck by a photo of Grignani in the 1980s, in his studio in Milan, wearing a white coat – an optometrist’s I would say – open on a shirt and a tie, his creations hung on the wall, while on the desk a chaotic arrangement of materials, slides, glasses, boxes, sheets, all stacked up as in a laboratory, an experimental centre conducting research and frequent tests.
“I was also trying to form a grammar to block constant values and to identify an operational-critical method” explains Grignani in “Note per un percorso” in the catalogue of the exhibition Segno Scrittura Spazio curated by Lisa Bellotti at the cultural centre Koh-I-Noor in Milan in 1986.
Milan is the “chosen” city where Grignani works, among other clients, for the pharmaceutical company Dompé: the advertisements for products such as Artrosil are remarkable, they include athletic figures that jump over obstacles, run, spin in the air with Olympic efficiency, or Cardioritmon composed of a black poster on which a white cord stands out, an electrical plug connects to a large stylized white heart, that contains in itself three other hearts in intersecting yellow, red, and blue [move aside, emoticons!].
And he also works, again for Dompé, on the graphics for the magazine Bellezza d’Italia, shortened to Bd’I as a contemporary intuition on the cover.
The works for Alfieri & Lacroix, “Tipolitozincografica in Milano propone la comunicazione nell’induzione grafica” [“Typolitozincographic in Milan proposes the communication in graphic induction”] – as declared in a 1965 manifesto now included in the MoMA’s collection – are recognizable for their attempt to model new linguistic proposals within a graphic production.
The Yearbook Pubblicità d’Italia instead, collects what happens in advertising by developing a conscious analysis of its world and its evolution in our country, and Grignani is appointed art director from its foundation in the 1950s until 1985.
Also in Milan, as a photo of them posing together on a roundabout reminds us, Giulio Confalonieri, Silvio Coppola, Franco Grignani, Bruno Munari, and Pino Tovaglia created the Gruppo ED [Exhibition Design] group. The group hoped to overcome the concept of individual authorship, they also reflected on an interdisciplinary research design methodology and on the importance of articulating the exhibition space to establish real communication with the public.
An exhibition by Grignani was held in 1967 at the Pirelli Cultural Centre in Milan and I would like to take a moment to analyse the layout starting from some archival images. The exhibition alternates helicoidal sculptures placed on the ground with two-dimensional works placed in rectangular glass cases, facing the viewer, grafted onto metal legs. The perimeter of the rooms is neatly filled with these devices and the movement of the images and sculptures also seems to be reflected in the linoleum on the floor that, with its spotted pattern, could be mistaken for an optical experiment by Grignani.
The name of Franco Grignani is not listed among those of the artists participating in international exhibitions that historicize the movements formed in the post-war period, such as the Op [Optical] Art investigated in 1965 by the exhibition The Responsive Eye at the MoMA in New York and by the documentary of the same title by Mike Wallace, easily available on YouTube, which offers a living testimony immortalizing the heated reactions of the New York public.
In the same year, however, Grignani is among the speakers, together with Buckminster Fuller, Marshall McLuhan, Eugenio Carmi, and others, at the Vision 65 conference “New Challenges for Human Communication” at Southern Illinois University, Carbondale.
In 1968 David Pelham, art director for the fiction section of the English publishing house Penguin, commissioned Franco Grignani to create sixteen covers for as many books in their science fiction pocket series, including titles by Ray Bradbury and Philip K. Dick. The covers are all on a black background upon which monochromatic images and shapes are set, a different colour for each cover, these abstract visions, alluding to movements, beginning from the covers, that welcome us into other perceptions, certainly not peaceful.
In 1966 the art critic Lara Vinca Masini wrote: “To today’s symbols of mass communication, attractive, colourful, captivating, hypnotic, Grignani opposes the symbols of his communication, haunting, highly expressive, dramatic and violent ones, that put the observer in front of himself, they demand him to be awake and responsible, forcing him, incessantly, to regain self-control, to rediscover, in a regained completeness, the exact dimension of human space, and in the light of reason, emotion, fantasy, his own inexhaustible – and demiurgic – potentiality as a creator of forms.” The viewer returns as protagonist of a communication that never ignores his reaction, whether conscious or unconscious.
A series of photos from 1967 portrays the artist’s daughter, Manuela, by the sea at sunset, the limbs radiate against the sun while holding square-shaped compositions made by her father who photographs her and with her movements creates a score, an alphabet of shapes multiplying in waves, as in a mirror, towards our perception.
Translated from Italian by Clelia Colantonio for SPRINT